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Bruno Marcucci: tra misticismo e virtualità
[...] Quello che mi preme invece sottolineare in un percorso tutt’altro che facile e intuitivo è l’apparente colloquialità delle opere, la strana forza interna che le anima come misterioso collante metafisico che ce le rende distanti e vicinissime allo stesso tempo e quello strano senso di finitezza e di fragilità apparente che sembra essere una delle caratteristiche maggiormente presenti, quasi in modo ossessivo, nell’intera produzione di Marcucci, dagli anni settanta ad oggi [...]

[...] il nucleo profondo del lavoro di Marcucci, quest’ansia decifratoria pre-semiotica, in cui il segno stesso è anche immediatamente simbolo, archetipo, explicatio ed explicandum, in un corto circuito vizioso e virtuoso che non distingue più tra l’osservatore e l’osservato[...]

[...] sembra che Marcucci si ammanti costantemente nelle sue opere, di un artigiano ricercato eppure dati toni sinceri, una supernaturalità estrema e fragrante che, nei suoi lavori, riesce a conservare una nota di freschezza e di vigore che continuano a stupirci e a destare meraviglia per la continua opera di trasformazione e permutazione che egli sembra compiere nel suo percorso artistico.

Nel “Mostro della Tasmania”, una grande installazione del ’93, Marcucci evoca uno scheletro di un animale preistorico, di cui possiamo vedere, come in uno spaccato, le ossa principali e strani oggetti, onirici e tecnologici al tempo stesso, contenuti al suo interno di cui sembra essersi cibato il mostro in epoche remotissime. Si nota che ogni sezione dello scheletro dell’animale preistorico sembra contenere al suo interno un micro mondo specchiante che è abitato da oceani, volti, oggetti, iceberg come se l’animale non fosse altro che un contenitore biologico occulto di mondi possibili, sottili ed onirici.

Marcello Pecchioli   1998


Il tempo inesteso: modificazioni virtuali
Le opere di Bruno Marcucci sembrano sostare in una specie di temporalità diffratta, […]

[...] In genere la pittura sembra oggi non del tutto adeguata a dialogare con il mondo che conosciamo, fatto di comunicazione, nuove tecnologie, geografie mediali ma nel caso di Bruno Marcucci questo antico medium viene piegato e distorto come se si potesse ricreare un modello dell’universo n-dimensionale e basato su conformazioni e pieghe dello spazio - tempo, un analogo artistico delle intuizioni relativistiche degli scienziati astrofisici.[…]

[...] In particolare mi ha colpito un’opera di Marcucci che si chiama Alla riconquista del centro come il resto del suo lavoro ma che sembra possedere elementi così complessi e intriganti da potersi considerare come il nucleo, il centro concettuale e programmatico, un software pittorico che è in grado di far “parlare” l’intera opera qui esposta. [...]

[...] Ed ecco che da questa trasformazione si sprigionano grammatiche e alfabeti inediti, cromatici, gestuali, musicali come se in questo caso fosse esplicitato il processo di riconversione estetica come in uno spaccato o un esploso di un disegno industriale assistito dal calcolatore (CAD). […]

[...] L’opera di Marcucci si inscrive dunque in quel territorio liminare che ha visto scienziati e artisti pensare ad una sintesi superiore, [...] tentativo di coniugare arte e scienza, le proprietà qualitative con lo sguardo analitico […]

Marcello Pecchioli   Bologna, febbraio 1993

 

© 2009 Bruno Marcucci